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Ansia e Panico: il circuito della PAURA

Ansia e attacchi di panico: il circuito adattivo della paura

La specie umana e i mammiferi animali sono accomunati nel comportarsi rispetto a situazioni pericolose o che mettono a repentaglio la propria sopravvivenza; hanno cioè la stessa modalità di espressione della memoria emotiva. Tutti gli animali, come gli uomini, si devono proteggere da situazioni di pericolo per garantire la propria sopravvivenza. Le strategie di cui dispongono sono sostanzialmente tre e cioè :

- La fuga, il ritirarsi (ovvero evitare il pericolo fuggendo),

- La lotta (ovvero l’ aggressione difensiva, il mostrarsi pericolosi o rispondere all’aggressione),

- La sottomissione (comportamento per indurre pace e inazione o non aggressione da parte dell’altro).

I modelli di risposta alla paura, indotta da aggressione fisica oppure virtuale (come può essere un’aggressione verbale), sono geneticamente programmati nel cervello umano, mettono cioè in azione lo stesso circuito di risposta neuro fisiologica, e quando il cervello percepisce il pericolo, reale o virtuale, attraverso l’attivazione del sistema nervoso autonomo, invia messaggi che regolano l’attività di diversi organi per adattarli alle esigenze della situazione: lo stomaco si contrae, la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa aumentano, le ascelle, le mani e i piedi (e molto spesso la testa) diventano sudati, la bocca è secca, il respiro diventa accelerato e affannoso; ci si prepara dunque ad una azione !

 

Di più, se l’esperienza emotiva è stata particolarmente negativa il nostro sistema interno cercherà di proteggerci in futuro da analoghe situazioni. Come un animale scappa davanti al fuoco che gli ha procurato in precedenza un’esperienza dolorosa, anche noi attiveremo la risposta al pericolo, quindi la paura, se rivivremo una situazione analoga ad una precedente esperienza negativa, sia essa fisica che mentale.

Tutto questo possiamo sperimentarlo anche quando, invece della paura verso un oggetto specifico e reale, sorge l’ansia, un derivato indifferenziato della paura, in risposta non ad un pericolo rappresentato da un oggetto reale bensì da un “oggetto interno”, che si forma nella nostra mente in relazione alla differenza fra ciò che percepiamo come aggressivo nei confronti del nostro sistema valoriale interno. 

Spesso l’ansia è una difesa superficiale, riflette cioè una fragilità più profonda, causata quindi a sua volta da esperienze e situazioni ben più importanti e radicate, queste ultime mascherate e rese evidenti attraverso i classici sintomi scatenati dalle situazioni quotidiane associate.

 

Le differenze riscontrabili inoltre nei comportamenti individuali nei confronti della paura o dell’ansia sono poi declinate in relazione alla diversità genetica. L’espressione fenotipica del nostro patrimonio genetico, cioè come sono le nostre risposte psicofisiche esterne, dipende poi da come siamo stati allevati, dall’alimentazione, dall’educazione che riceviamo e dagli altri geni che completano il patrimonio genetico. Se i geni forniscono la materia prima con la quale costruire le nostre emozioni ( cioè la modulazione del sistema nervoso, le predisposizioni e gli atteggiamenti nei processi mentali e fisici), l’espressione delle nostre azioni, dei pensieri e dei sentimenti provati in una particolare situazione sono determinati e mediati anche dai fattori sociali e cognitivi.

Analizziamo ora un altro aspetto del circuito della paura. Quando subiamo un trauma (ad esempio un’aggressione), non restiamo condizionati solo dallo stimolo associato direttamente al trauma (ad esempio,  se siamo stati aggrediti e rapinati da una persona che ci è venuta incontro correndo, quando vediamo una persona che ci corre incontro, per qualsiasi altro motivo, potrebbe di nuovo scattare la paura), ma anche da altri stimoli che erano ugualmente presenti e costituivano il cosiddetto “contesto” della situazione traumatica (ad esempio la strada dove siamo stati aggrediti, il tipo di automobile che stava passando in quel momento, il suono di una sirena e quant’altro associato sensorialmente alla circostanza …). Questa seconda categoria contestuale può non essere identificabile cognitivamente, bensì viene memorizzata automaticamente e allegata per così dire al riscontro cosciente della situazione.

La nostra paura può scattare ugualmente, come già detto in precedenza, quando mettiamo a rischio la nostra sopravvivenza emotiva, rispetto al sistema dei nostri valori. Se per esempio riteniamo fondamentale per la nostra sopravvivenza il godere appieno della libertà di decidere e di soddisfare i nostri bisogni, una situazione contestuale che ci limita e ci costringe a scelte non condivise (come ad esempio sottostare alla formalizzazione di una relazione nel contenitore di un matrimonio non cercato e di una famiglia del partner invadente e che decide per noi), concretizza quella situazione di pericolo indifferenziato che a sua volta induce e produce i sintomi dell’ansia. Se il livello di ansia si protrae e si accumula senza poter essere mitigato allora è possibile sfociare nell’attacco di panico.

 Anche il contesto, quindi, può diventare uno stimolo condizionato di paura o di ansia: quando ripassiamo per quella stessa strada, anche se non succede nulla di traumatico, oppure quando riviviamo le stesse condizioni di restrizione alla nostra libertà, noi possiamo provare paura o ansia. Di un particolare contesto è interessante il fatto che non è costituito da uno stimolo particolare, bensì da una raccolta di stimoli.  Il nostro cervello emozionale, sempre attivo come un radar, in questo caso l’ippocampo,  interviene proprio nelle risposte di condizionamento alla paura rispetto al  contesto. Nello specifico, l’ippocampo ha infatti il compito di creare una rappresentazione integrata del contesto che contenga i rapporti tra tutti gli stimoli. Una lesione all’ ippocampo elimina selettivamente le risposte di paura suscitate dagli stimoli contestuali ( ad esempio la strada in cui è avvenuta l’aggressione)  senza influire sulla risposta  dovuta allo stimolo condizionato ( la persona che mi corre incontro). Cioè se passo per la strada dove è avvenuta l’aggressione, non provo paura, ma se una persona mi corre incontro posso provare paura.

Un danno ad un altro importante organo del cervello emozionale come l’amigdala, invece, crea un’interferenza sia con il condizionamento contestuale, sia con il singolo stimolo condizionante. Questo perché l’amigdala riceve sia segnali da regioni talamiche dedicate ad uno dei sensi, sia informazioni di livello superiore da aree della corteccia, sia  informazioni sulla situazione generale dall’ippocampo. Attraverso queste connessioni è in grado di elaborare l’importanza emotiva di stimoli singoli e anche di situazioni complesse. Se quindi l’amigdala è coinvolta nella valutazione del significato emotivo degli stimoli in entrata, i segnali provenienti dall’ippocampo hanno una parte fondamentale nello stabilire il contesto. I ricordi coscienti vengono indicati con i termini di “memoria dichiarativa o esplicita” e possono essere riportati alla mente e descritti a parole, potenzialmente a disposizione della coscienza. L’altro tipo di memoria forma dei ricordi inconsci “non dichiarativi o impliciti”, per esempio a proposito di situazioni pericolose o comunque minacciose oppure restrittive. L’apprendimento che si produce in questo caso non dipende dalla consapevolezza e, una volta avvenuto, lo stimolo non deve per forza essere percepito consciamente per provocare delle risposte emotive condizionate. In un cervello integro questi due sistemi lavorano contemporaneamente e ognuno forma i suoi ricordi. Un’altra distinzione tra diversi tipi di memoria, è quella tra memoria a breve termine o MBT, più propriamente definita come memoria di lavoro (working memory o WM) e la memoria a lungo termine (MLT).

Quello che accade nella memoria di lavoro (MBT o WM) è suscettibile di passare in quella a lungo temine. Il sistema cerebrale che forma i ricordi a lungo termine è diverso da quello che li immagazzina. L’ippocampo è il candidato più probabile alla funzione di custode della memoria. Quindi alcune regioni del sistema limbico, ippocampo e aree affini della corteccia, sono coinvolte nella formazione e nel richiamo di ricordi espliciti. L’ippocampo svolge più in particolare la sua funzione nelle forme di apprendimento e di memoria che dipendono da indicazioni spaziali. Forma quindi delle rappresentazioni spaziali che hanno la funzione di creare il contesto in cui collocare i ricordi.

Di conseguenza, quando una situazione genera paura o ansia, la memoria di lavoro, che governa i processi cognitivi quali l’attenzione, la decisionalità, il comportamento esplicito, subisce quelle interferenze provenienti dalla memoria emotiva che ci impediscono di mantenere la mente lucida. Oltre quindi alla sintomatologia ansiosa proviamo uno stato di confusione mentale e di difficoltà a produrre pensieri logici, come si dice in gergo “non ci sono con la testa”.

E allora cosa si può fare per combattere l’ansia ?

Ad oggi esistono numerose tecniche per combattere ed eliminare l’ansia. Tra le più conosciute, che il soggetto può imparare e utilizzare al bisogno, è possibile citare il Training Autogeno, il Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson e le tecniche respiratorie e posturali come lo Yoga. Queste tecniche richiedono però una formazione la cui durata dipende dalla ricettività e dalla pratica del soggetto stesso. 

Una tecnica più immediata è quella della Mindfulness, ma anche qui tutto dipende se il soggetto è predisposto verso questa modalità di tipo meditativo. 

Non dobbiamo infatti dimenticare che ogni persona, nel rispondere opportunamente allo stress e quindi nella generazione a scopo adattivo e difensivo dei sintomi d’ansia, utilizza un proprio canale sensoriale privilegiato. Ci sono quindi persone che si trovano a proprio agio nel praticare la meditazione o che sono particolarmente rispondenti alla tecnica ipnotica, altri che necessitano del contatto corporeo, altri ancora che devono stimolare l’olfatto o la vista per restaurare il proprio equilibrio.

Il test kinesiologico aiuta la persona ad individuare il canale antistress prioritario così da poterle efficacemente guidare verso un adeguato percorso di riequilibrio.

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